Camminando continuamente sulle strade e nei vicoli della Sanità ci si addentra in una pluralità di volti, popoli, esperienze, immagini; in un andirivieni di uomini, donne, bambini, storie, memorie, rappresentazioni. Man mano si conoscono le persone definite regolari, irregolari, clandestine, e finalmente si cammina insieme in uno spazio pubblico, che è il nostro rione, la nostra città. Tutto intorno è vivo, colorato, troppo complesso, aggrovigliato, non coglibile nella sua interezza, ma solo in frammenti. Ogni cosa ha radici profonde. Bisogna scavare, incunearsi, per percepire qualcosa di non scontato. Si vedono segni di vitalità che provengono dalle forze vive e solidali della società civile ed ecclesiale presente.
Qui vi è una concentrazione tuttora in crescita di immigrati provenienti soprattutto dallo Srilanka, da Capoverde, dai paesi dell’Est europeo: Polacchi, Ucraini, Russi, Rumeni, Moldavi e tanti Rom, esprimono una storia di movimento che trasforma lo spazio. E sono proprio gli immigrati che portano nel tessuto del nostro territorio identità culturali, etniche e religiose altre dalle nostre, e che fanno diventare le strade luoghi di meticciamento, di mescolanza tra persone e culture diverse.
La disoccupazione è drammaticamente generale e la città non è in grado di offrire neppure una vita poveramente dignitosa ai tanti che arrivano. Le amministrazioni che si succedono sono impreparate ad affrontare una politica di immigrazione e la gravità delle emergenze: i napoletani sono abituati ad arrangiarsi, a improvvisare, a immaginare anche piccole forme di guadagno; altri per sopravvivere devono necessariamente reinventarsi spazi pur minimi vitali, ma spesso non ce la fanno.
E’ sotto gli occhi di tutti un’erosione dei diritti inalienabili delle persone: casa, cibo, salute, lavoro. Nessuno degli amministratori cammina a piedi nelle diverse ore del giorno e delle stagioni per rendersi conto della insopportabilità della vita in certe disumane condizioni. Spesso il cambiamento avviene prima nello sguardo, dal basso: si cambia il punto di vista, si elabora un tipo di rappresentazione del territorio in grado di dar conto della pluralità delle voci, delle esperienze, delle pratiche esistenti, dei percorsi significativi, della quotidianità, delle narrazioni. Normalmente nel nostro territorio, quando va bene, vivono cittadini, e tra questi migranti-lavoratori a basso costo, privi della giusta tutela. Tantissimi vivono un estremo disagio e povertà e si indebitano sempre di più, prima nel proprio paese per raggiungere il sogno di una terra libera, poi in Italia spesso sperperano le loro possibili future briciole economiche per sub-affitti di posti letto o affitti onerosi e irregolari per bassi che non hanno nemmeno l’abitabilità; durante il tempo dei flussi migratori inoltre, per regolarizzare la propria condizione giuridica sul territorio nazionale e locale si attua una compravendita di azioni-salvataggio. C’è chi specula sulla miseria e chi si impoverisce sempre di più. Molte e sorprendenti forme di illegalità, di violenza e di corruzione si annidano ovunque. Tanti migranti sopravvivono per lunghi periodi contando su qualche parente, spesso donna, che generalmente non riesce a raggiungere una discreta stabilità economica. Convivono abitudinariamente gravi forme di sfruttamento, di lavoro nerissimo sommerso, di disoccupazione violenta. Condizioni queste che facilitano l’insicurezza sociale, l’immersione nella malavita con sempre più dure conseguenze anche nelle relazioni con se stessi e nelle famiglie. I carichi familiari e problemi di ordine burocratico-legale rappresentano gli ostacoli più evidenti per una vita normale. La popolazione dei marginali molto spesso conosce il carcere; i suicidi proprio sulle nostre strade, vicino alle nostre case ci chiamano a responsabilità, a cercare di capire le ragioni del malessere. Tanti sogniamo di costruire una città concretamente aperta e accogliente, dove le politiche sociali, culturali ed educative prendano di petto le situazioni, entrino nelle cause profonde dell’ingiustizia e diano risposte concrete e giuste nel segno dei diritti umani e della nostra Costituzione, e del Vangelo. Qualcuno/a continua a credere nell’educazione al dono, e proprio in questo contesto crescono l’associazionismo e il volontariato, le parrocchie e il mondo dell’educazione, vere preziose scuole dove si impara la pratica del dono come reciprocità ed educazione, improntate al valore della solidarietà come virtù civica.
E’ proprio il territorio il luogo concreto nel quale ricostruire legami tra i diversi popoli, le generazioni, tra le diverse forze sociali e istituzionali per ridare spazio alla centralità del territorio come luogo nel quale vivere l’esperienza della partecipazione civica e l’esperienza dell’amicizia come occasione privilegiata per rinnovare la relazione e ricostruire i legami comunitari.